Nella penisola Italica, la caduta dell’impero romano portò ad una disgregazione della società civile con tutte le inevitabili conseguenze sulla igiene pubblica e sulla medicina e per oltre cinque secoli non emersero fatti nuovi o, per lo meno, convenientemente documentati. Tra il IX e X secolo, in maniera apparentemente improvvisa, sorse la Scuola Salernitana, promossa dai Principi di Salerno che ivi avevano chiamato dall’oriente i depositari dell’antica scienza greca ed arabica. L’importazione di scienziati e medici laici indipendenti dalla Chiesa fu una piccola rivoluzione nei confronti della medicina empirica claustrale, che era praticata dai monaci a scopo caritatevole. Sebbene è verosimile che la maggior parte dei medici della Scuola Salernitana, fosse di provenienza orientale, uno dei primi medici della scuola di cui abbiamo notizia fu probabilmente longobardo: un tal Gariopontus la cui probabile origine longobardica è indicata dal suo vero nome che pare fosse Warimpot. I suoi scritti pubblicati a Basilea nel 1636 con nomenclatura e nosografia di derivazione greca del periodo tardo, vertono per lo più sulle malattie cutanee ed offrono qualche interesse per le chiare definizioni dell’antica terminologia nosologica. Anche nell’ambito della Venereologia, dall’epoca classica bisogna giungere fino alla scuola salernitana, per trovare nuove descrizioni riferibili alle malattie veneree. Per quanto ne sappiamo, i medici salernitani si occuparono marginalmente alle malattie sessuali anche se il continuo andirivieni nell’Italia meridionale dei Crociati reduci di Terra Santa, “ove, come è ben noto, i loro costumi non furono nè casti nè cauti” dovrebbe far pensare ad un loro fiorire. Le scuole medioevali, per quanto concerne le malattie veneree, si limitano ad impartire cognizioni e consigli dettati dal buon senso e dall’empirismo, mescolati con molti pregiudizi. Lo storico e dermatologo Angelo Bellini afferma che, in fatto di pregiudizii e di mali consigli, nessuno avesse superato il duecentista Ricardus Anglicanus, il quale insegnava che i genitali si infiammano, si ulcerano e provocano la gonorrea, per colpa degli umori (certo: gli humores!) salsi ed accesi del periodo mestruale!
Non contento il nostro autore medioevale consigliava al paziente che si trovasse nella fase del massimo dolore e turgore di restare col membro a lungo nella vagina femminile che avrebbe purgato l’infiammazione e sedato il dolore. Trotula de Ruggiero (sec. XI) , conosciuta anche con il nome di Trottula o Troctula Trotta, Trocta, è stata il primo (o, per lo meno, il primo noto) medico donna della civiltà occidentale, definita sapiens matrona e mulier sapientissima. Trotula è la più nota tra le mulieres Salernitanae ovvero le appartenenti a quella cerchia di studiose che erano attive intorno alla Scuola medica di Salerno. La sua figura fu celebre nel Medioevo in tutta Europa, in particolar modo per gli studi legati alla sfera femminile.
L’idealizzazione della sua figura, divenuta quasi leggendaria, ha portato alcuni studiosi come Caspar Wolff a metterne in dubbio la storicità. Invece, secondo i suoi sostenitori e le teorie oggi più accreditate, la presenza di Trotula nella Scuola Salernitana è suffragata anche dalla sua coerenza sia con la cultura medievale longobarda, in cui la donna condivideva con l’uomo le responsabilità politiche e religiose e spesso anche militari, sia con la organizzazione stessa della scuola medica, che non precludeva l’accesso alle donne all’arte medica né al divenire Magistra. A sostegno di quest’ultima affermazione, va ricordata la circostanza secondo cui la salute delle donne nel medioevo era affidata esclusivamente a mani femminili.
Trotula visse all’inizio del secondo millennio ed operò nell’ambito della scuola medica salernitana al tempo dell’ultimo principe longobardo di Salerno, Gisulfo II, probabilmente prima dell’arrivo in città del medico Costantino l’Africano.
Nacque a Salerno, da nobile famiglia, famosa al suo tempo per aver donato a Roberto il Guiscardo parte dei propri averi per la costruzione del Duomo cittadino. Grazie alle nobili origini, Trotula ebbe l’opportunità di intraprendere studi superiori e di medicina. Sposò il medico Giovanni Plateario, da cui ebbe due figli, Giovanni e Matteo, che proseguirono l’attività dei genitori e i quali, insieme al padre, sono ricordati come Magistri Platearii. Le opere di Trotula sulle malattie femminili (“De passionibus mulierum ante in et post partum” (Sulle malattie delle donne prima e dopo il parto oppure “De passionibus mulierum curandarum” opera nota anche come: Trotula major) sono state le prime alla base della moderna ginecologia. Pur con qualche controversia, questo libro sembra attribuibilie a lei e fu edito a stampa solo nel 1544, a Strasburgo, nell’edizione tarda di George Krant.
La sua competenza si allargava anche alla chirurgia e alla cosmesi nel libro “De ornatu mulierum” (Sui cosmetici delle donne); opera nota anche come: Trotula minor. In questo libro riporta una raccolta di ricette cosmetiche per abbellire il volto, per imbiancare e purificare la pelle, per dare formosità al corpo, sbiancarsi i denti, depilarsi e colorarsi le labbra raccogliendo evidentemente sia l’eredità classica e quella di recente importazione araba. Nel campo della Venereologia, Trotula, nel libro “De passionibus mulierum”, non nomina neppure la gonorrea e nel capitolo dedicato ai genitali maschili (“De inflatione virgae virilis, et testiculorum”) osserva soltanto che vi possono osservare infiammazioni al sacco balano-prepuziale, con escoriazioni estese ed edema ai testicoli; nell’altro sesso, invece, accenna solo alle infiammazioni, agli ascessi e alle ulcere dell’utero.
Carlo Gelmetti
Dermatologo, Milano