Il corpo, la malattia, il malato, il medico hanno un posto di rilievo nell’arte, nella letteratura, nelle arti visive di tutti i tempi e di tutti i paesi.

Gli artisti attraverso la fantasia e l’immaginazione, ma anche con la descrizione delle loro esperienze e delle emozioni da queste suscitate, sono stati testimoni del rapporto mutevole e costante dell’uomo con il proprio corpo, con la malattia,  con l’affidarsi o temere le cure dei medici. 

Le pagine dei narratori e dei poeti, le pellicole di tanti registi di talento, le interpretazioni di attori e attrici ci hanno così consegnato, sul versante del paziente il vasto repertorio dell’ammalarsi, del guarire, del temere per la propria salute, dell’essere nel proprio corpo e nella propria pelle. Sul versante del medico hanno prodotto una galleria sfaccettata e poliedrica di ritratti: medici buoni e compassionevoli, medici cinici e incompetenti, medici appassionati o disincantati, medici ambiziosi o al servizio dell’umanità bisognosa e dolente e infine medici che diventano a loro volta pazienti. 1.

La separazione tra arte e scienza è un fatto relativamente recente, si pone con Cartesio e prosegue nella modernità, dove si struttura una divergenza che talora mette in contrapposizione il sapere scientifico a quello artistico. Nell’antichità numerosi sono gli esempi illustri di scienziati-artisti a cominciare da Policleto, proseguendo con Piero Della Francesca, Brunelleschi, Leonardo Da Vinci, solo per citare i più noti.

Paul Klee asseriva che:” arte e scienza rendono l’invisibile, visibile” e dunque da questa prospettiva possiamo assumere che ci sia tra i 2 ambiti del sapere umano un’ obiettivo comune. 2.

La scienza come percorso organizzato del sapere con sue regole specifiche e obiettivi chiari, ha portato in ambito medico grandi progressi e importanti acquisizioni.  La medicina, tuttavia come “scienza applicata all’uomo”, è ancora una pratica che si muove tra la certezza apodittica e il mero procedere a tentativi guidato dall’esperienza, per tale motivo possiamo fare nostro l’aforisma di Alfred Hitckcoch che recita: “C’è qualcosa di più importante della logica per capire il mondo: l’immaginazione”. 3.

Come può l’arte aiutare la scienza nella comprensione della salute e della malattia? Come possono integrarsi i due saperi? Può la realtà essere indagata non solo attraverso il metodo scientifico, ma anche attraverso l’immaginazione?

L’arte come strumento per capire la malattia, la sofferenza, le paure che circolano nella relazione di aiuto e nel rapporto medico-paziente affonda le sue radici nell’empatia,  in quell’atteggiamento recettivo-attivo che consiste nel permettere che l’altro entri temporaneamente in noi e che ci parli. Si tratta di uno scambio che avviene tra 2 confini, la possibilità di capire l’altro, senza lasciarci invadere o senza erigere barriere difensive, dipende dall’allenamento che ha il medico a entrare in contatto con le molteplici sfaccettature della personalità umana, con i tanti modi che ha l’uomo di soffrire, di chiedere, di raccontarsi.

La letteratura, il cinema, l’arte sono un utile mezzo per allenare l’empatia, per sperimentare attraverso quella che i neuoroscienziati definiscono  simulazione incarnata, come si sta nei ”panni degli altri”. 4.

Il medico, tuttavia non è lo spettatore passivo delle sofferenze e delle vicissitudini umane del paziente, tra i 2 si frappone  un diaframma che come lo schermo del cinema, come le pagine di un libro offre la possibilità di riflettere sulla storia, riorganizzare l’esperienza e trarre spunti di conoscenza.

La medicina narrativa ha avuto grande risonanza nell’ultimo decennio e ha aiutato medici e pazienti a superare difficoltà e complessità legate alla malattia e alle risonanze emotive che la sofferenza del corpo e della mente suscitano nella relazione medico-paziente. La scrittura è un mezzo che molti pazienti esplorano affidando alla parola il carico di angosce, desiderio di capire, bisogno di trovare un senso alle vicissitudini infauste del corpo e della mente.

La pelle è un tema con il quale si sono misurati numerosi scrittori, registi, pittori, poeti. Dal 1932 ad oggi abbiamo trovato almeno una trentina di film che hanno nel titolo la pelle: dal più noto La pelle che abito di Pedro Almodovar, ai più recenti Nemiche per la pelle con Claudia Gerini e Margherita Buy , per finire con Short Skin, un film di Duccio Chiarini del 2015 che racconta il debutto sessuale di un adolescente alle prese con il proprio prepuzio corto.

La letteratura ci offre le testimonianze di John Updike , uno scrittore americano nato in Pennsylvania nel 1932, affetto da psoriasi dall’età infantile, racconterà il  rapporto con la malattia in numerosi romanzi e racconti, che saranno oggetto di riflessione anche da parte della comunità dermatologica nord americana.5.6. From the journal of a leper, racconto breve, scritto nel 1976, offre al lettore alcune suggestioni e analogie tra la  pelle  squamosa e secca e le superfici dei vasi plasmati dalle mani del protagonista che è un vasaio. Egli cercherà di produrre vasi perfettamente lisci, creando un manufatto che lo illuda di avere  un po’ di controllo sull’impotenza che prova di fronte alla malattia. Self-counsciousness è un romanzo autobiografico scritto nel 1989 che contiene un capitolo  interamente dedicato alla guerra che il protagonista ingaggia con la propria pelle: At war with my skin, qui leggiamo:“…Il Siroil, il sole, l’astensione dal cioccolato erano le uniche armi che avevo a disposizione nella lotta contro le chiazze rosse che diventavano scaglie argentate e invadevano la mia pelle nell’inverno..”. In seguito l’autore sperimenta la PUVA terapia, che inizialmente offre buoni risultati, ma poi: “….la psoriasi con una combustione senza fiamma, come una torba, irrompe trionfante colpendomi nuovamente, ritorna terribile, ricomincio ad essere ciò che io sono”.

Valerio Magrelli, traduttore, poeta, prosatore, esponente autorevole della letteratura italiana contemporanea affida alla raccolta di prose brevi intitolata Nel condominio di carne, le sue ossessioni sulla corruttibilità del corpo, degli organi interni, della pelle. Questo Autore, attratto e  sedotto dalle vicissitudini del corpo, racconta con umorismo e dolente rassegnazione la straordinaria banalità dell’ammalarsi, dell’essere corpo soggetto alla fragilità, in balia delle forze che operano sul corpo e nel corpo: il tempo, i microbi, le meiopragie, le ereditarietà, le dipendenze. Nei differenti piani narrativi, si fondono percezione e immaginazione, mentre l’esperienza soggettiva intreccia  curiosità e interesse per il corpo, che viene raccontato percorrendo un’infinità di piccoli mali, in una vena di poetica, lucida follia.

I Microbi, i virus, i batteri, i funghi sono la vasta, eterogenea popolazione che convive con l’uomo, nella salute e nella malattia, per Magrelli queste presenze seppur tollerate con humor e rassegnazione, costituiscono una minaccia all’integrità dell’Io corporeo, un nemico che avanza, un messaggero di morte che alimenta le angosce ipocondriache del poeta. A proposito delle infezioni che si possono contrarre in piscina leggiamo:  “.. Endemica è l’irritazione del mio timpano, come pure quella periodica erosione che reca il nome di piede d’atleta. Endemica è la corruzione delle periferie. Commerciano con l’avversario, tessono fili tra materia e antimateria, annodano il citoplasma al vuoto litoraneo che le circonda. D’altronde, alle frontiere dell’Impero, è sempre inevitabile che barbari e soldati stringano qualche legame. E mentre alterno creme per tamponare il guasto, ecco, familiarizzo con il nemico”.  Le malattie, anche le più banali e innocue interrompono la logica della vita, diventano prive di senso: “…non c’è trama, ma trauma, un esercizio di patopatia. Non c’è teoria, ma racconto di piccole catastrofi giocate dentro gli spazi interstellari della carne”. 7.

Nelle arti figurative degni di nota sono i vasi di Tamsin Van Essen, una scultrice britannica contemporanea che produce manufatti le cui superfici a craquelé ricordano le chiazze psoriasiche. Queste opere prendono il nome di Medical Heirloom, i vasi contenenti farmaci che venivano ereditati di generazione in generazione tra il 17 e il 18 secolo in Inghilterra e alludono alla possibilità che così come si può ereditare la malattia è anche possibile trasmettere da una generazione all’altra comportamenti e risorse psico- fisiche per fronteggiarla.

L’arte dunque, declinata nei differenti ambiti espressivi, letteratura, cinema, arti figurative può aiutarci a capire e tollerare il punto di vista del paziente, che spesso non collima con quello del medico e che è talora oggetto di “un difficile negoziato” tra le parti.

L’intelligenza dell’artista, la sua immaginazione che ha un particolare rapporto con l’inconscio, può aiutarci a comprendere il punto di vista soggettivo del paziente, così come ci ricorda efficacemente Simona Argentieri: “gli artisti capiscono e sanno esprimere i tortuosi sentieri delle vicissitudini inconsce meglio di qualunque psicoanalista”. 8

Bibliografia

  • Vito Cagli. Malattie come racconti. La medicina, i medici e le malattie nelle descrizioni di romanzieri e drammaturghi. Armando Editore 2005
  • Paul Klee. Teoria della forma e della figurazione. Ed. Mimesis 2011
  • Alfred Hitchcock. Io Hitchcock, il maestro del brivido. Ed. Donzelli 2015
  • Vittorio Gallese, Michele Guerra. Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze. Raffaello Cortina Editore 2015
  • Robert Jackson. John Updike on Psoriasis: At War With my Skin, From the journal of a Leper. Journal of Cutaneous Medicine and Surgery, Volume 4,n. 2,2000.
  • Friedrich A. Bahmer, MD. John Updike and Blue Light: From Psoriasis to Photodynamic Therapy. Arch.Dermatol/Vol148(NO.3), Mar 2012.
  • Valerio Magrelli. Nel Condominio di carne. Einaudi tascabili 2003
  • J. Amati Mehler, S. Argentieri, J. Canestri. La babele dell’inconscio. Lingua madre e lingue straniere nella dimensione psicoanalitica. Raffaello Cortina Editore

 

Mariella Fassino
Dermatologa Torino