La prima segnalazione di orticaria solare (OS) e la sua denominazione e definizione risalgono agli inizi del secolo scorso, ma fu Blum nel 1935 il primo che sospettò la presenza nella cute di un cromoforo in grado di evocare una reazione fotochimica con liberazione di sostanze vasodilatatrici.
L’ OS è una rara fotodermatosi caratterizzata da eritema e pomfi pruriginosi che insorgono dopo pochi minuti dall’esposizione alla luce solare o artificiale. Si può associare ad altre orticarie fisiche come quella da freddo, da caldo, dermografica o colinergica. Le lesioni si possono presentare come pomfi di diverse dimensioni, hanno breve durata (non oltre i 60 minuti), possono colpire tutto l’ambito corporeo, risparmiando solitamente le zone che sono cronicamente fotoesposte come il volto ed il dorso delle mani, che di solito presentano solo eritema . Alle manifestazioni cutanee si possono associare sintomi sistemici quali nausea, cefalea, tachicardia, vertigini, ipotensione perfino shock. La qualità di vita del paziente è compromessa. La malattia insorge improvvisamente, ha durata variabile e può guarire spontaneamente.
L’OS rappresenta lo 0,4-3.3% di tutte le orticarie, circa 8% delle orticarie fisiche e fino al 16% di tutte le fotodermatosi. L’OS può colpire tutte le etnie, entrambi i generi e tutte le età dall’adolescenza, o addirittura dai primi anni di vita, fino all’età avanzata.
Nella classificazione originaria delle fotodermatosi l’OS è annoverata tra le fotodermatiti idiopatiche che oggi vengono, alla luce degli studi recenti, definite immunomediate.
Infatti, nonostante il meccanismo fisiopatologico sia ancora oscuro, sembra che l’OS sia una patologia IgE mediata. Ne sono state distinte due forme : il I tipo, in cui l’ipersensibilità IgE-mediata è verso un cromoforo o fotoallergene specifico, di basso peso molecolare (25-45kD), sensibile alla luce visibile, il II tipo è rappresentato da una ipersensibilità IgE-mediata contro un fotoallergene non specifico di alto peso molecolare (25-1000kD), sensibile alle radiazioni dell’Ultravioletto e della luce visibile. Con il passive transfer test, oggi non più utilizzato, era possibile distinguere i due tipi.
Le radiazioni responsabili sono quelle della luce Visibile e degli Ultravioletti A e B. Mentre gli UVB sono chiamati in causa meno frequentemente, più spesso si possono associare diverse lunghezze d’onda, denunciando la presenza di cromofori diversi.
Sono descritte in letteratura forme particolari di OS. L’OS ritardata, caratterizzata da lesioni che appaiono dopo molte ore dall’irradiazione luminosa, una varietà di OS progredisce in Dermatite Polimorfa Solare in seguito a stimolazione con fototerapia UVBNB; OS con ipereosinofilia, OS persistente con lesioni che durano fino a 3 giorni, OS fissa che presenta lesioni localizzate sempre nella stessa area. Recentemente sono stati descritti casi di angioedema solare limitati al volto ed arti superiori con assenza di pomfi in altre aree.
L’aspetto istologico è comune alle altre orticarie: si osserva edema del derma con infiltrato infiammatorio perivascolare e periannessiale linfoistiocitario ed esosinofilo con scarso numero di mastcellule degranulate, e a volte fibrina in sede perivascolare.
Per la diagnosi è molto utile una buona anamnesi che riguardi soprattutto la latenza della manifestazione delle lesioni. Infatti è difficile che il paziente giunga al medico con le lesioni proprio a causa della loro fugacità.
Per la conferma della diagnosi si utilizzano i test fotobiologici: la dose minima eritematosa (MED) di regola è normale e quindi non ha un valore specifico, mentre lo è la dose minima urticarioide (MUD) la cui esecuzione è sovrapponibile a quella della MED, ma utilizza dosi più basse. Il test si esegue irradiando con dosi crescenti di UVB e UVA e con luce visibile la cute non pigmentata e non fotoesposta di recente. Il test di scatenamento, che utilizza gli UVB, UVA e luce Visibile, mette in evidenza le lunghezze d’onda responsabili. La lettura viene eseguita immediatamente, dopo 60 minuti e dopo 24 ore. Nel caso lo scatenamento sia negativo, ma con forte sospetto di OS, si può eseguire la diretta esposizione al sole (‘prova finestra’). Questi casi sono forse dovuti al cosiddetto ‘spettro inibitorio’ per cui lunghezze d’onda più lunghe di quelle scatenanti inibiscono la manifestazione pomfoide quando somministrate in concomitanza alle lunghezze d’onda responsabili.
La diagnosi differenziale si propone con altre orticarie fisiche (da caldo, colinergica, da freddo), con l’orticaria da contatto (da clorpromazina, catrame) , con la dermatite polimorfa solare, che però ha una latenza più lunga, con la protoporfiria eritropoietica caratterizzata da lesioni purpuriche ritardate con bruciore immediato, con l’orticaria vasculite del LES, ed infine con l’orticaria iatrogena (da progesterone, clorpromazina o tetraciclina).
La terapia di primo impatto consiste nell’utilizzo di filtri solari associati ad anti-H1 (fexofenadina, loratadina) tenendo in considerazione che i primi, soprattutto nell’OS causata da luce visibile, hanno scarsa efficacia protettiva. Inoltre gli antistaminici non sempre sono efficaci indicando che forse l’istamina non è l’unico mediatore scatenante. Alcuni pazienti trovano beneficio con l’applicazione di compresse fredde, che diminuirebbero l’estensione del pomfo ed il prurito. Nei casi gravi si può utilizzare la ciclosporina A (3,5-4 mg/kg/d). Recentemente sono state utilizzate le immunoglobuline per via intravenosa (2 g/kg o 0,4 g/kg/d x 5 gg consecutivi con intervallo di 2 mesi) per cui si ottiene il blocco funzionale dei recettori di membrana dei mastociti ai frammenti Fc per saturazione oppure si ha la neutralizzazione di autoanticorpi o l’inibizione della loro produzione. In alcuni casi è stato usato omalizumab, un anticorpo ricombinante umanizzato anti-IgE, con risultati contrastanti. L’afamelanotide, un analogo dell’α-MSH e il micofenolato mofetile rappresentano per adesso tentativi episodici.
Nella prevenzione della patologia risulta molto utile l’induzione alla tolleranza utilizzando la fototerapia con UVA, PUVA spesso associata a steroidi (prednisolone 1 mg/kg), UVB-NB, lunghezze d’onda che inducono una sorta di desensibilizzazione o tollerabilità alle radiazioni aumentando la pigmentazione e l’iperplasia cutanea, o ancora la fototerapia ‘rush hardening’ che prevede sedute 2/3 volte al giorno per 1 settimana e quindi 1 volta a giorni alterni per altre 4 settimane. In casi particolari è prevista anche la plasmaferesi con l’eliminazione del fotoallergene responsabile.
Marcella Guarrera
Dermatologa, Genova