PARTE 2
Pompei, a differenza di Ercolano che occupava un promontorio con affaccio sul mare a sud, sorgeva su un pianoro formatesi da una colata lavica vesuviana ad una altezza di 30 metri sul livello del mare, alla foce del fiume Sangro dove esisteva un fiorente porto. Dal porto, dopo una ripida salita si aveva accesso direttamente al foro che rappresentava il centro della vita commerciale di Pompei.
Incerte sono le origini della città, luogo abitato già nel VI secolo. Come Cuma, Ercolano, Nocera e Stabia, anche Pompei fu prima etrusca, poi greca, come testimonia il tempio di Apollo, poi sannitica ed infine romana dopo l’assedio di Silla.
Divenuta colonia romana col nome di Cornelia Veneira Pompeianorum, poiché la tradizione romana prevedeva che in ogni città ci fosse un tempio dedicato alle massime divinità dell’Olimpo, venne costruito il Capitolium dedicato alla triade Giove-Giunone-Minerva.
Venne eretto nella parte settentrionale del foro, su un podio da cui si elevavano sei colonne corinzie accessibile da scalinate laterali con due archi trionfali sui lati e all’interno le statue della triade capitolina. Dalla cinta muraria con mura in parte distrutte dopo l’occupazione romana, si aveva accesso alla città mediante 7 porte: porta Marina a ovest, porta Nocera, porta Vesuvio a nord, porta Ercolano verso Napoli, porta di Nola, porta di Sarno a est, porta di Stabia a sud.
La suddivisione in “regiones”, paragonabili ai nostri quartieri, fu fatta da Fiorelli nel 1858 per esigenze di studio e di orientamento. La denominazione dei luoghi quando non noto il nome del proprietario, sono stati attribuiti dagli addetti agli scavi, in base ai ritrovamenti o a particolari circostanze come la Casa di Pansa duoviro che amministrò la città nel 55-56 d.C. o la casa di Cecilio Giocondo, professione banchiere, nella quale furono rinvenute 154 tavole cerate con la registrazione di somme da lui versate a persone per le quali aveva venduto beni e schiavi ricavando per sé una provvigione dell’1-4 %.
La pittura presente alle pareti delle case patrizie di Pompei si riassume in 4 stili: ellenistico o strutturale, architettonico, ornamentale, fantastico o dell’illusionismo prospettico.
Entrando a Pompei da porta Marina, che si presenta come un torrione con due arcate una che serviva per i pedoni e una per i carri, porta poco agevole per la pendenza, si accede direttamente al Foro, vero centro commerciale, un tempo lastricato in marmo bianco e alla Basilica, dove si esercitava la giustizia civile. Il giudice veniva fatto salire da una scaletta sul retro pronto a scappare in caso di necessità poichè le reazioni del condannato non erano sempre prevedibili.
All’esterno della porta si trovavano le Terme Suburbane, riportate alla luce tra il 1985 e il 1987, a ridosso delle mura si trovava la Villa Imperiale, di cui resta un porticato di 80 metri e 43 resti di colonne, mentre in dipinti furono brutalmente asportati nel 1700.
Dalla via Marina, in direzione nord-ovest si accede all’area sacra con il Tempio di Venere e di Apollo e di Giove e poco più avanti si trova l’edificio di Eumachia dedicato alla sacerdotessa di Venere, protettrice dei lavandai, edificio di epoca tiberiana. Più avanti troviamo il Tempio di Vespasiano, e il Santuario dei Lari Pubblici, protettori del focolare. Via Marina si continua in via dell’Abbondanza e all’incrocio con via Stabiana incontriamo la Palestra sannitica e il Teatro Grande. Ai lati della via si trovano belle ville patrizie, quali quella di Venere in Conchiglia, di Vetustus Placidus, dI Menandro, di Octavius Quartio, di Giulio Polibio. Alla fine della via nei pressi di porta Nocera è possibile visitare il Grande anfiteatro e la Palestra grande.
Parallele a via Marina e dell’Abbondanza, sono via della Fortuna e via di Nola circondate dalle bellissime dimore con affreschi nei vari stili come quelli visibili nella casa dei Vettii, ricchi liberti (schiavi affrancati i cui figli potevano diventare cittadini liberi) o quelli della casa degli Amorini odrati appartenuta alla gens Poppea a cui apparteneva la seconda moglie di Nerone. La Casa del Fauno, che deve il suo nome alla statuetta in bronzo del fauno danzante che ornava l’impluvio, con i suoi tremila metri quadrati di superficie e il pavimento a mosaico raffigurante la battaglia di Isso, è la più sontuosa di Pompei.
Uscendo da porta Ercolano e percorrendo piedi la via delle tombe per un tratto di strada sulla quale sono ancora visibili le impronte dei carri romani si raggiunge la Villa dei Misteri, tipica villa suburbana. E’ così chiamata per onorare il culto misterico di Dionisio, di cui gli affreschi in II stile delle pareti del triclinium (sala da pranzo) documentano le fasi del rituale.
Al momento dell’eruzione Pompei si presentava ancora come un cantiere aperto a causa del terremoto del 62 d.C. tuttavia i forni erano in attività, sfornavano un pane tipo focaccia a spicchi, i numerosi termopolia, (una sorta di snack bar) dislocati all’aperto sulle vie principali servivano cibi caldi e bevande che i romani consumavano all’aperto a mezzogiorno, mentre alla sera usavano cenare a casa. Condivano le pietanze con il “garum” una salsa costituita da interiora di pesce salato. Anche il dolce non poteva mancare poichè Cerere, dea delle messi, prevedeva la benedizione sacrificale delle torte che erano costituite da uova e grano. Nel 1700, Carolina moglie di Ferdinando figlio di Carlo di Borbone aggiungerà latte, ricotta e canditi e creerà la pastiera.
Dall’alto il Vesuvio osserva e tace, tuttavia resta tra tutti i vulcani, il più monitorato al mondo.
Iolanda Buzzetti
Dermatologa, Milano