La rosacea è una malattia infiammatoria cronica, complessa e multifattoriale, che può interessare non solo la pelle ma anche gli occhi. Non sono noti dati epidemiologici del disturbo nella popolazione italiana, tuttavia si stima che la prevalenza in Europa vari dal 2,3% al 22%.1 Si tratta quindi di una diagnosi molto comune, la quinta dopo l’acne, la dermatite atopica, la psoriasi e le cheratosi attiniche. L’esordio avviene solitamente tra la terza e quinta decade di vita, con incidenza maggiore nei soggetti con fototipo chiaro. Nell’uomo sembra prevalere la gravità della malattia, nella donna la frequenza. Si caratterizza per la presenza di flushing transitorio, eritema persistente con teleangectasie, papule e/o pustole e negli stadi più avanzati si può presentare sotto forma di fima. Si tratta di un disturbo cronico recidivante con periodi di riacutizzazione che colpisce prevalentemente il volto, pertanto ha un notevole impatto sulla qualità di vita dei pazienti, tanto da indurre disagio, isolamento e stigmatizzazione sociale che incidono fortemente sulle attività di lavoro e di relazione.
A seconda dell’aspetto clinico preponderante la rosacea viene classificata in: rosacea eritemato-teleangectasica, rosacea papulo-pustolosa, rosacea oculare e rosacea fimatosa. La classificazione facilita la scelta adeguata delle terapie sulla base delle manifestazioni preponderanti che si desidera trattare.
L’eziopatogenesi non è ancora stata completamente chiarita, tuttavia i processi infiammatori alla base della malattia sono in gran parte da attribuire ad alterazioni della risposta immunitaria innata verso antigeni microbici, specie del Demodex folliculorum, alterazioni neurovascolari con tendenza alla vasodilatazione ed aumentata suscettibilità a fattori ambientali (raggi UV, fonti di calore, stress fisici ed emotivi, cibi piccanti ed alcool).
Negli ultimi anni la ricerca dermatologica ha condotto a una migliore comprensione dei meccanismi fisiopatologici correlati alle manifestazioni cliniche di tale malattia; benché fosse già nota l’ereditarietà della malattia, di recente sono stati identificati fattori genetici coinvolti nella patogenesi della rosacea; si tratta di due polimorfismi rs763035 e rs111314066 localizzati rispettivamente in prossimità di geni codificanti proteine del complesso maggiore di istocombatibilità di classe II : HLA-DRA, BTNL2, HLA-DRB1, HLA-DQB1, HLA-DQA13. E’ ipotizzabile che la rosacea condivida alcuni di questi substrati genetici con altri quadri morbosi infiammatori gastrointestinali come il morbo celiaco, il morbo di Crohn, la rettocolite ulcerosa, la sindrome del colon irritabile e la sindrome da iperproliferazione batterica (SIBO). La loro prevalenza, infatti, è aumentata nei pazienti affetti da rosacea4 oltre alla, ormai ben nota, correlazione tra rosacea e infezione da H. Pylori che è consigliabile sempre indagare in tali pazienti poiché in molti casi l’eradicazione della contaminazione intestinale è alla base del successo terapeutico. Inoltre la rosacea è stata significativamente associata a malattia cardiovascolare, sindrome metabolica, e diabete mellito; tali patologie condividono con la rosacea un substrato infiammatorio, caratterizzato da aumentato stress ossidativo e rilascio di citochine proinfimmatorie5. Di recente uno studio epidemiologico danese ha evidenziato l’aumentato rischio di NMSC, tumore al seno, epatocarcinoma e gliomi cerebrali nei pazienti affetti da rosacea mentre sembra ridursi il rischio di carcinoma polmonare6,7. Tali ipotesi, sebbene ancora oggetto di discussione tra gli autori, identificano la rosacea come possibile spia di patologie di organi più profondi che il dermatologo non deve trascurare, ma saper riconoscere al fine di fornire un inquadramento diagnostico-terapeutico adeguato.
Virginia Garofalo
Dermatologa, Roma