Nel settembre 2020 è stato proclamato il settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta Dante Alighieri (Firenze, tra il 21 Maggio e il 21 Giugno 1265 – Ravenna, notte tra il 13 e il 14 Settembre 1321) e in questo periodo numerose sono le iniziative volte a celebrare questo straordinario personaggio, vissuto in un momento di grandissimo sviluppo per l’Italia fra Umanesimo e Rinascimento.
Il 25 Marzo 2021 è stato indetto il Dantedì, giornata che celebra la figura di Dante Alighieri nel nostro Paese poiché, secondo molti studiosi, sarebbe proprio questa la data di inizio della Divina Commedia (25 Marzo 1300).
Perciò in questo contesto ci è sembrato interessante esplorare, seppur a grandi linee, il rapporto fra Dante e la Dermatologia.
Un personaggio “che tutto accolse per diretta o indiretta conoscenza” e perciò tanto complesso, eclettico ed affascinante, non poteva non suscitare leggende e interpretazioni sul suo presunto interesse per la magia, l’alchimia e la medicina.
A questo proposito, significativo è l’aneddoto secondo il quale, presso l’Istituto di Medicina dell’Università di Montpellier, sarebbe conservata una ricetta scritta dallo stesso Dante e nella quale sarebbe descritta una pozione finalizzata al ritrovamento della pietra filosofale. Questo materiale catalizzatore, simbolo dell’alchimia, si riteneva dotato di proprietà straordinarie riconducibili alla capacità di trasformare metalli poveri in oro, di donare l’onniscienza, di guarire ogni malattia e di conferire l’immortalità. Tutto ciò naturalmente non trova alcuna conferma nei dati ufficiali, perciò certamente è da ritenersi, come si direbbe oggi, una colossale fake news.
Purtuttavia, ad una più approfondita lettura dell’opera dantesca, è possibile riscontrare in alcuni suoi passaggi un chiaro interesse del Poeta per taluni argomenti di competenza dermatologica.
Il Canto che ci pare più significativo in tal senso è il XXIX dell’Inferno, ambientato nella X Bolgia dell’VIII Cerchio (Malebolge), in cui sono puniti i falsari.
In questo passaggio Dante e Virgilio incontrano alcuni dannati che sarebbero i malati degli ospedali di Valdichiana, Maremma e Sardegna che si lamentano per il dolore, immersi in un fetore che ricorda quello delle carni in decomposizione.
“Qual dolor fora, se de li spedali
di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre
e di Maremma e di Sardigna i mali
fossero in una fossa tutti ’nsembre,
tal era quivi, e tal puzzo n’usciva
qual suol venir de le marcite membre”.
E ancora, successivamente incontrano Griffolino D’Arezzo e Capocchio:
“Io vidi due sedere a sè poggiati,
Come a scaldar s’appoggia tegghia a tegghia,
Dal capo a’ piè di schianze maculati:
E non vidi giammai menare stregghia
A ragazzo aspettato dal signorso,
Nè da colui che mal volontier vegghia;
Come ciascun menava spesso il morso
Dell’unghie sovra sè per la gran rabbia
Del pizzicor, che non ha più soccorso;
e sì traevan giù l’unghie la scabbia,
come coltel di scardova le scaglie
o d’altro pesce che più larghe l’abbia”.
Qui viene descritta con grande efficacia una scena raccapricciante che illustra i sintomi di una non precisata patologia cutanea. Le schianze di cui sono coperti i due dannati (v. 75) potrebbero essere le croste della scabbia squamo-crostosa o impetiginizzata. Per cui ciascuno di loro continuamente si gratta per il grande fastidio provocato da un prurito che non dà tregua (v. 81). Questi dannati si tolgono la scabbia con le unghie come un coltello toglie le squame della scardova, o di un altro pesce che le abbia più larghe (v. 84). Ed ancora Dante parla di un “altro lebbroso” riferendosi a Capocchio (v. 124). In questi emblematici episodi il Poeta fa riferimento a patologie dermatologiche allora misconosciute, ma che potremmo ipotizzare essere scabbia (brillantemente scoperta da Bonomo e Cestoni nel 1687), psoriasi (definitivamente individuata da Hebra nel 1841) o lebbra (completamente definita da Hansen nel 1868).
Sappiamo infatti che queste patologie, come molte altre descritte nella Storia della Dermatovenereologia, sono state sempre oggetto di confusione perenne per molti secoli, fino alla loro precisa individuazione e classificazione.
E il Sommo Dante in altri passaggi della sua immensa opera cita anche altre dermopatie: peste nera o bubbonica, “lascia pur grattar dov’è la rogna” (Paradiso, Canto XVII), “s’apparecchi a grattarmi la tigna” (Inferno, Canto XXII, v.91) etc.
Come pure non trascura di citare alcuni grandi personaggi della storia medica: Ippocrate, Galeno, Avicenna, Averroè etc. (Inferno, Canto IV), che certamente hanno suscitato il suo interesse e la sua ammirazione.
In conclusione, un ulteriore piccolo, ma significativo esempio di quanto la patologia cutanea abbia sempre colpito la fantasia di illustri personaggi e nelle più diverse culture.
Angela Maria Ferraris
Dermatologa, Roma